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LA CASA RUSSIA
(THE RUSSIA HOUSE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 luglio 1991
 
di Fred Schepisi, con Sean Connery, Michelle Pfeiffer, Klaus-Maria Brandauer, James Fox, Roy Scheider (Stati Uniti, 1990)
 
Benché tratto dal romanzo di John Le Carré (che il cinema, a partire dal noto LA SPIA CHE VENIVA DAL FREDDO messo in scena da Martin Ritt con Richard Burton, non ha mai trattato con particolari riguardi) LA CASA RUSSIA non è tanto un film di spionaggio, con tutti i vizietti del caso che il cinema ha abbondantemente esplorato. Un po' perché la guerra fredda dovrebbe essere un argomento superato, ed il regista australiano Schepisi è il primo a saperlo, visto che infiamma le sue immagini con le tinte del melodramma. Un po' perché questo editore inglese coinvolto suo malgrado in una storia tutto sommato banale lo scienziato russo che vuol far pubblicare i suoi scritti in Occidente) è certamente più sedotto dal whisky (per non parlare di Michelle Pfeiffer) che da cause più o meno nobili. Un po' perché tutte le spie e controspie del film sono ridotte al loro grigiore più quotidiano: anti-eroi impiegatizi, con pausa per il tè e telefono portatile. Ed un po' perché un film - una volta evitato di tradire quello che dovrebbe essere lo spirito dell'opera letteraria alla quale s'ispira - è una costruzione a sé stante.

Quella di LA CASA RUSSIA si basa su tre elementi: il lavoro del drammaturgo inglese Tom Stoppard che, sul filo dei soliti dialoghi perfetti della tradizione british, organizza il film su una sapiente sceneggiatura non lineare. Come già accadeva nel romanzo, è proprio questo avanzare ad incastro, questo spostarsi liberamente nel tempo e nello spazio alla ricerca di una logica a far crescere l'emozione. C'è un gioco sottile nel film fra quando è detto e quanto è mostrato, talora a dimostrazione, tal altra a contraddizione: contrappunto leggero, pieno di humour, che sembra sostenere, sospingere i personaggi come l'azione. Poi, l'illustrazione di Schepisi, che riesce a filmare Londra, Lisbona, Vancouver, Mosca e Leningrado sul filo difficile che separa l'atmosfera dalla cartolina illustrata, con piccole annotazioni prese dalla strada che ci ricordano l'origine documentarista del regista australiano; Schepisi sa filmare i suoi personaggi con una misura , un affetto naturale (una sola eccezione: l'happy-end sul molo di Lisbona, che sembra incollato artificiosamente).

Infine, gli attori, che sono perfetti, che fanno di questo film che avrebbe potuto (e forse dovuto, nelle intenzioni dei produttori essere il solito marchingegno spettacolare, una delicata storia d'amore: Sean Connery, ingrigito ed appesantito ma di una seduzione che forse non possedeva nemmeno ai tempi gloriosi del mitico 007, fa decollare il film ogni volta che la cinepresa si mette a spiare una qualsiasi delle pieghe del suo viso. Michelle Pfeiffer contraddice costantemente quello sciocco partito preso che vuole che le attrici sexy debbano necessariamente recitare come delle oche giulive. Brandauer, che talvolta strafà, qui è di un'emozione contenuta, un attimo ambigua come il suo personaggio lo esige.

LA CASA RUSSIA è insomma un falso film di spionaggio. Ma soprattutto un falso film di facile consumo: avvenimento di una certa qual originalità in quel mondo cinematografico che solitamente propone il contrario.


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